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La medicina della riproduzione tra le luci della scienza e le ombre della politica – E. Cittadini

Trentotto anni addietro, stesso mese, stesso giorno, nel mio percorso formativo nella riproduzione assistita giunsi a Melbourne. Era una domenica soleggiata ed in visita ad una Chiesa Cattolica Romana, vi trovai affisso al portale principale uno scritto di Sir Frank Little, Arcivescovo di Melbourne, in polemica con una pubblicazione di Carl Wood, nella quale il direttore del progetto Fiv/et affermava che “il congelamento degli embrioni doveva essere considerato (oltreché scientificamente molto vantaggioso) eticamente accettabile perché l’alternativa ad esso era la distruzione degli embrioni”. La risposta dell’Arcivescovo fu: “Bisogna piuttosto chiedersi se Egli ed i suoi Associati avessero il diritto di imbarcarsi in un procedimento che li ha posti di fronte all’alternativa di distruggere o congelare”.
Il giorno successivo appresi che in Australia era attivo un Comitato Etico della Ricerca Medica del Consiglio Nazionale Australiano per la Sanità e la Ricerca. Tale organismo era responsabile del controllo dei trattamenti ed era composto da medici, biologi, infermieri, psicologi, sociologi e cittadini comuni; nel caso di controversie maggiori veniva chiesto l’intervento del Governatore dello Stato di Victoria, all’epoca Mr. Mc Coughney. Alcuni giorni dopo il mio arrivo ebbi il privilegio di ascoltarlo in una Lettura dal titolo: “L’etica della clinica e della ricerca medica: chi decide e come?
Le argomentazioni di maggior rilievo sono così riassumibili: l’etica medica è fatta di considerazioni di ordine morale che scaturiscono dalla pratica o dalla ricerca in medicina. Poiché la maggior parte della buona pratica è stata resa possibile dalla ricerca ed è giustificata solo se basata su un programma continuativo di osservazione e sperimentazione, una distinzione tra pratica e ricerca è realmente senza senso. Le implicazioni morali che scaturiscono da situazioni del genere sono abitualmente definite, rinforzate, salvaguardate, applicate da norme legali, dalla aderenza a norme convenzionali o a linee di condotta accettate, o da due o tre di questi elementi. Quello della Legge come Guardiano della Morale è un argomento ampiamente usato ed ampiamente illogico, ed una delle ragioni per cui lo è che la Scienza si occupa costantemente di aspetti nuovi e per sua stessa natura incessantemente esplora l’ignoto. La legge viceversa deve sempre confrontarsi con fatti già noti e non si può basare sulle speculazioni su ciò che può venire scoperto. Nessuno nega o dovrebbe negare che la Legge debba avere la sua parte nel definire ciò che la comunità trova accettabile o piuttosto ciò che trova inaccettabile. Dovrebbe esserci anche un ampio accordo nel limitare lo stadio fino al quale sarebbe accettabile far sviluppare in vitro un embrione ai fini della sperimentazione, così come dovrebbe esservi un ampio accordo sul fatto che lo stato legale del bambino nato da FIVET debba essere garantito.
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Un altro aspetto discusso riguardava il grado di protezione che bisognerebbe garantire alle diverse manifestazione della vita ad un determinato stadio del suo sviluppo. Per esempio a ovociti o spermatozoi al momento dell’incontro, o all’ovocellula già penetrata dallo spermatozoo, all’embrione pre-impianto, al feto nell’utero materno o al bambino già nato.
Di fronte al quesito su chi deve prendere le decisioni etiche nella pratica medica e nella ricerca, Mc Coughney disse: “quelli che devono convivere con le conseguenze delle loro decisioni”. Orientamenti validi possono certamente pervenire dall’esterno, possono porsi come soluzioni finali contro comportamenti impropri. Ma sono in realtà l’Uomo e la Donna dai loro capezzali e dai loro laboratori che devono assumersi la responsabilità del giudizio etico sull’opportunità di proseguire o sospendere un trattamento o di iniziare o continuare un’esperimento che coinvolga un essere umano. Ed è certo che le decisioni etiche riguardanti la pratica medica e la ricerca non devono maturare nelle aule dei filosofi o nelle corti ecclesiastiche, ma viceversa essere assunte dai membri delle professioni e all’interno delle istituzioni alle quali appartengono in armonia con le migliori tradizioni e convenzioni delle loro società adattandole se necessario a circostanze che mutano. Quali le sue conclusioni. Il primo punto è che attraverso la riflessione di tutti coloro che hanno a cuore la democrazia vi è sempre una linea preferenziale verso il principio della libertà. In problematiche come questa la questione da porsi dovrebbe essere piuttosto: “quanta autorità è necessaria?” e non “quanta libertà deve essere concessa?”. Il vero problema di una libera società dovrebbe consistere proprio in questo: nel considerare l’autorità una concessione e la libertà non un privilegio e ricordare l’enunciazione del filosofo americano Rawls: “la libertà può essere limitata soltanto dal rispetto della libertà”.
Rispetto alla presunta innaturalità della Fivet è giusto ricordare che attorno agli anni ‘80 la giuria del Premio Nobel ha negato a Edwards e Steptoe l’ambito premio affermando che non vi era nel loro esperimento altro che la riproduzione in provetta di un evento naturale, cioè l’unione dei gameti conferendo così all’esperimento un carattere di maggiore naturalità attorno al quale è stato possibile costruire una visione più etica della fecondazione extracorporea: l’etica di aiutare la natura che è ben più accettabile di quella di sostituirsi ad essa.
Di per sé la questione della liceità morale di una esperienza di questo tipo in una società libera da ideologie costrittive non avrebbe ragione di porsi; basti pensare che si tratta di una pratica per la vita e non per la morte. Di fatto una questione morale è esplosa fin dai primi tentativi coinvolgendo anche gli stessi ricercatori.
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E’ noto che fin dal manifestarsi del pensiero greco l’occidente ha organizzato la sua rappresentazione del mondo sull’opposizione cultura vs natura, con segno positivo per la prima e negativo per la seconda, ciò che ha legittimato da sempre l’indiscriminata egemonia umana sugli altri esseri viventi e sull’ambiente, proponendo come morale ogni intervento su questi anche di tipo radicalmente modificatorio. Per capire il peso determinante che ha avuto questa legittimazione morale si pensi alla profonda diversità del paesaggio oggi rispetto al passato. Sono stati deviati fiumi, cancellate montagne, create persino nuove varietà di piante ed animali, senza che tutto ciò abbia posto problemi morali. E poiché oggi si parla spesso del principio di sacralità della vita l’esempio più eclatante mi sembra esser proprio il mutare di questo principio per la stessa Chiesa Cattolica attraverso i tempi. Oggi infatti non sarebbero più possibili le torture e le condanne al rogo che la Chiesa stessa riservava un tempo agli eretici. Ciò che un tempo era morale oggi è divenuto immorale.
Perché quindi non dovrebbe essere moralmente legittimo l’esperimento di cui stiamo parlando?
Di ritorno dall’Australia, nell’iniziare il nostro lavoro organizzativo, clinico e di ricerca abbiamo avvertito in tutti i membri della nostra e di altre équipes la sensazione di un lavoro appassionato e corretto condotto ai tempi nelle cliniche universitarie di Palermo, Milano, Bologna e così nei primi approcci da parte di tre, quattro centri privati. Ricordiamo che a quei tempi l’etica medica aveva come unico punto di riferimento il giuramento di Ippocrate ed il medico era il solo responsabile davanti ai suoi pazienti e doveva agire nel suo animo e nella sua coscienza esclusivamente nel loro interesse. Dal 1982 sino alla fine del secondo millennio, l’estrema purificazione della gonadotropine urinarie da un lato e la introduzione attorno al 1990 della alfa e beta follitropina ricombinante, la successiva introduzione nel controllo del fenomeno ovulatorio degli agonisti e antagonisti del GnRh, avevano migliorato il rendimento di queste stimolazioni ovariche controllate così come le tecniche di co-colture embrionarie, il perfezionamento delle tecniche di congelamento lento degli embrioni, la comparsa nel 1994 della iniezione intracitoplasmatica del singolo spermatozoo (ICSI) avevano notevolmente migliorato gli outcomes delle fecondazioni assistite. In quegli stessi anni tutti i gruppi sopra accennati avevano iniziato anche a proporre la fecondazione eterologa maschile e femminile nella corrette indicazioni, per lo più utilizzando nella fecondazione eterologa femminile ovociti donati dalle pazienti in trattamento FIVET che ne avessero in esuberanza o di donatrici occasionali (parenti?) ma sempre nell’ambito di donazione oblativa. Ancora ricordiamo che alla fine del secondo millennio iniziano a Milano i primi studi sulle cellule staminali,
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embrionali e non, le prime importate dall’Australia o Inghilterra dal momento che la loro produzione non era consentita nel nostro Paese. Grande è stato, in questa fase, l’impegno del Ministro Veronesi e del Comitato da Lui insediato, nel chiedere la possibilità di utilizzo degli embrioni sovrannumerari, già largamente usati in altri Paesi. E potremmo citare ancora tanti miglioramenti clinici proposti da una nuova ricerca continua e continuata e sempre ispirata dal rispetto del materiale umano su cui si lavorava.
Ricapitoliamo sommariamente la sequenza degli eventi. Il 25.7.1978 nasce a Manchester il primo essere umano concepito in provetta: Louise Brown e questa nascita, certamente straordinaria, suscita un dibattito sugli aspetti etici e giuridici della fecondazione in vitro e sulla necessità di regolamentarne per legge le varie possibilità. Il Parlamento inglese sceglie di istituire una Authority (Warnock Committee) piuttosto che promulgare una legge; questo Comitato emana una sorta di linee guida, un decalogo che riguarda prevalentemente ciò che si ritiene improprio venga fatto. Il lavoro del Comitato, che stabilisce norme tuttora vigenti, viene completato nell’arco di un tempo estremamente breve. Dell’Australia, abbiamo già detto.
Nel settembre del 1984 nella lettura di apertura di un congresso francese sui conseguimenti assistiti, Jean Vouin, Professore di Diritto alla Facoltà di Bordeaux, dichiara “Il giurista deve disporre di una buona dose di presunzione o di molta incoscienza per cercare di definire le implicazioni giuridiche delle nuove tecniche di trattamento della sterilità di coppia. Egli sa che allo stato attuale del nostro diritto apporterà più domande che risposte e che brandendo le tavole della Legge davanti ai medici, biologi e psicologi evocherà immancabilmente il retore che aveva osato parlare di strategie davanti all’avanzare di Annibale. Gli operatori sanitari non mancheranno di chiedergli come la regola del diritto, necessariamente generica, astratta e permanente potrebbe rispondere a situazioni umane dolorose e spesso singolari, non tener conto dei progressi folgoranti della genetica e tenere al contempo conto della evoluzione profonda della mentalità e dei costumi”. E solo due anni dopo la Francia promulga la sua Legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita, estremamente umana e ragionevolmente permissiva.
Tutti gli altri Paesi europei e mondiali hanno da almeno trenta anni delle leggi che nella quasi totalità consentono la maggior parte delle tecniche che, a distanza di ventisei anni dalla nascita di Louise Brown, sono state proibite nel nostro Paese. Le numerosissime commissioni o comitati che si sono succeduti nel tempo (Commissione Santosuosso, 1982; Comitato Nazionale di Bioetica, 1988; Commissione Garavaglia, 1994; Commissione Guzzanti, 1995; Commissione Busnelli, 1996) non hanno mai 5

esitato documenti utili alla promulgazione di una Legge sino al 2004 ed in questi ventidue anni sono stati presentati al Parlamento numerosi testi di legge mai approvati, e sono state sentite a ripetizione le Società Scientifiche coinvolte nelle problematiche, le cui conclusioni sono sempre state disattese.
Nel 1988 venne introdotto nel Nostro Paese il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) che il Presidente del Consiglio Andreotti ebbe ad affidare fin dal suo inizio ad un Ginecologo di grande rilievo professionale e culturale, ma che ricopriva al tempo la carica di Direttore dell’Unità di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica di Roma e che nella composizione del comitato, nella tipologia di interventi e della loro discussione avrebbe sempre pesantemente risentito di una impronta ideologica di matrice strettamente cattolica.
Nel messaggio di Giovanni Paolo II del 22 maggio 2003 è peraltro insita, con estrema chiarezza, la spinta di aggregazione e di schieramento contro la fecondazione assistita. Egli chiama in causa il Parlamento Italiano a prendere netta posizione e a creare subito una legge. Giovanni Paolo II dice: “consapevole della necessità di una Legge che difenda i diritti dei figli concepiti, come movimento vi siete impegnati ad ottenere dal Parlamento Italiano una norma rispettosa, il più concretamente possibile, dei diritti del bambino non ancora nato, anche se concepito con metodiche artificiali di per sé moralmente inaccettabili. Colgo l’occasione per auspicare che si concluda rapidamente l’iter legislativo in corso e si tenga conto del principio che tra i desideri degli adulti e i diritti dei bambini ogni decisione va’ misurata nell’interesse dei secondi”.
Nasce così nel marzo 2004 la Legge 40 sulla quale l’opinione dei più è così brillantemente riassunta da Vittorio Sgaramella: “Con questa Legge italebanica l’Italia mette al bando la Fivet e si esclude dai Paesi civili, costringe pazienti e operatori ad un turismo riproduttivo e infligge una crudele penalizzazione alle donne”. Ed aggiunge Paolo Rossi “E’ stata azzerata la libertà di discussione e revisione che è stata il lievito dell’impresa scientifica prima ancora della democrazia. E‘ stato bloccato l’uso delle conoscenze biomediche atte ad alleviare le sofferenze. L’idea che sta dietro la Legge 40 è un’idea invasiva ed invadente del diritto con regolazione delle libertà personali, e un’idea che permette ad una maggioranza di decidere su temi di questa natura e di regolare la vita privata di tutti i cittadini. Ad aggravarne il giudizio sta quella che è stata chiamata “la sindrome del carnefice” che è tipica di questo legislatore e che si realizza al meglio nell’accanimento punitivo esemplare, che qui si trova enunciato, con l’aggravante che vi si cercheranno invano sanzioni per le coppie, cioè per chi veramente le vìola.
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Al di là delle tante reazioni del genere di quelle su citate, e della presa di posizione di sociologi, psicologi e di Associazioni varie, l’introduzione della Legge 40 ha creato un complesso dialogo tra “Carte e Corti”, nel quale spesso il giurista si è ritrovato pieno di dubbi ed interrogativi, laddove credeva di possedere rassicuranti certezze, e il Legislatore Nazionale, il Parlamento, ha stentato a seguire il ritmo incalzante dell’innovazione, anche per palese volontà di mantenere una posizione di difesa di valori naturalistici e di imporre regole rigide, espressioni di una sola concezione, ignorando la tendenza, oggi ampiamente diffusa in tutto il Paese, di tener conto del “diritto che viene dal basso (la soft law)” e cioè dalla società civile che chiede che, man mano che il progresso scientifico propone nuove opportunità. vengano disegnati spazi della vita umana sottraendoli alla causalità naturalistica.
E’ la richiesta di un “individualismo libertario” che richiede nuovi diritti di espressione dei principi fondamentali di dignità e libertà: il diritto alla procreazione, il diritto all’autodeterminazione in campo sanitario, il diritto all’informazione genetica, il diritto di conoscere la propria origine genetica. Una domanda così forte ha richiesto ben presto una riscrittura della Legge 40 da parte della Giurisprudenza ordinaria, costituzionale ed europea. I tempi di questa lunga “lotta” tra carte e corti sono descritti nei dettagli da Filomena Gallo nel suo articolo nel libro: Persone e famiglie nell’era del biodiritto di G. Baldini. La Gallo elenca con ricchezza di particolari la lista dei dieci divieti con sanzioni previste dall’art. 12 della Legge 40/04; le cinque misure dell’art.13 a tutela dell’embrione con relative sanzioni in termini di reclusione e la sospensione dall’attività professionale; gli otto limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni dell’art.14 con relative sanzioni; il tutto con netta sproporzione fra tutela della coppia e dell’embrione a favore di quest’ultimo, ed altri. Si rileva che la Legge 40 non introduce una riforma del Codice Civile e che pertanto un embrione non ha lo stesso livello di protezione di colei che è già persona (C.C. 27/1975). Nessuna situazione giuridica trova pari garanzie, anche se,rileva il Prof.Vallini,Giurista dell’Università di Firenze,nessun Giudice penale ha mai condannato qualcuno per uno dei molti reati presenti in questa normativa. La Gallo passa quindi ad un esame nel dettaglio dei trentadue interventi dei Giudici italiani sulla questione dei divieti intervenuti con la Legge 40/04 (sei del tribunale di Cagliari, tre del Tribunale di Catania, quattro di Milano, due di Bologna, due di Salerno, tre di Roma, quattro di Firenze, uno di Palermo, uno del TAR Lazio, quattro della Corte Costituzionale, uno della Corte Europea) oltre ad interventi sulla Convenzione di Oviedo.
Una interessante e critica analisi della Legge 40 è stata presentata dal Prof. Maurizio Mori durante la sua audizione al Senato: “Cosa imparare dallo smantellamento della Legge 40/2004 e quali i pilastri della nuova Legge in linea con i tempi?”. Il Mori
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contesta persino il titolo della Legge 40: “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” in quanto il termine procreazione è di origine teologica (atto in favore della creazione di una persona) opera e prerogativa solo di Dio. Termine tuttavia approvato da uno Stato laico del mondo occidentale e secolarizzato agli inizi del terzo millennio dell’era cristiana e che andrebbe sostituito con quello di “riproduzione” che indica il processo di trasmissione della vita da una generazione all’altra. Ma, dice il Mori, la prospettiva che ha ispirato la Legge 40/04 è stata un grande tentativo teso a mantenere il più possibile la riproduzione naturale e a limitare al massimo la riproduzione assistita senza tuttavia escluderla completamente. Inoltre il limitare l’accesso alle tecniche solo al fine di ripristinare la funzionalità naturale è un modo di medicalizzare la riproduzione umana quasi che la nascita di un figlio sia il risultato di scelte cliniche piuttosto che di natura squisitamente tecnica o civile. In questa ottica il lavoro di smantellamento della Legge 40/04 fatto dalla Suprema Corte si è basato su una sorta di meta-principio che mette da parte la questione interna al dibattito tra Costituzionalisti e riguarda piuttosto l’orientamento della nostra vita sociale e della nostra forma di società .Questo grande principio afferma che i cittadini hanno diritto di godere dei benefici apportati dalla tecnica in qualunque campo, e che sono illegittimi eventuali limiti o vincoli all’uso delle tecniche ove questi comportassero oneri troppo gravosi rispetto ai vantaggi ottenibili. In altre parole, la nostra è una società dinamica e aperta al progresso tecnico-scientifico e sociale, non una società chiusa e imbrigliata in norme statiche. In questo senso, al di là delle diatribe particolari su punti specifici, si può dire che gli interventi della Corte per demolire la Legge 40/2004 sono legittimi oltre che benvenuti. A distanza di tempo emerge che l’aspetto più problematico dell’art. 1 sta invece nelle parole iniziali: “Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana”, perché esse stabiliscono che le tecniche di fecondazione assistita sono consentite solamente al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti da patologie, e non per soddisfare le esigenze riproduttive delle persone. Qui emerge quanto si è cercato di illustrare: si accetta che la tecnica dia un aiutino, ma restando nei limiti dell’impianto biologico. Scrive ancora Mori che alcuni vincoli imposti dagli articoli esaminati dalla Legge 40/2004 sono sbagliati perché risultano essere discriminatori in quanto in pratica escludono l’accesso a tre importanti categorie di persone che intendono avere figli grazie alla riproduzione assistita, e cioè: Le donne in età fertile; Le donne in menopausa; Persone singole o coppie non eterosessuali.
Il riconoscimento del diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso diventerà forse un altro episodio del “difficile dialogo tra carte e Corti”. Già sul piano interno la formula “società naturale” contenuta nell’art. 29, co. 1, Cost. dà adito a divergenti
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letture. Va da sé poi che al matrimonio omosessuale si accompagna la richiesta dell’ulteriore diritto allo status genitoriale, a cui le persone dello stesso sesso non possono accedere che in due modi: o tramite adozione, oppure per mezzo di tecniche eterologhe di PMA. E se, come detto, la ratio del citato art.5 ruota attorno all’interesse della prole, è proprio su quest’ultimo aspetto che si sta spostando la discussione. E’ plausibile sostenere che il desiderio di genitorialità sia esclusivo delle coppie eterosessuali in età fertile? O possiamo e dobbiamo riconoscere che esso può essere presente anche in altri? Si potrà dire che la legittimità/illegittimità di tale desiderio dipende dalla correlata presenza o meno della “capacità genitoriale”, che è costituita dalle doti che rendono una persona in grado di essere responsabile per la propria crescita e l’equilibrata educazione del figlio. In questo senso, la soddisfazione del desiderio genitoriale è legittima quando c’è la capacità genitoriale, e illegittima quando questa è assente. Il giudizio di legittimità costituzionale, com’è noto, ha significativamente inciso anche su altre parti della Legge 40, modificando lo statuto giuridico dell’embrione, altro capitolo fondamentale della disciplina della PMA. Due i passaggi dell’art. 14 oggetto della censura del giudice delle leggi: l’ultimo periodo del comma 2, dichiarato illegittimo limitatamente all’espressione “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”; e poi il comma 3 nella parte in cui, nell’imporre il trasferimento degli embrioni appena possibile, non prendeva in considerazione il “pregiudizio per la salute della donna”. La tutela dell’embrione esce in tal modo ridimensionata da “una deroga al principio generale di divieto di crioconservazione di cui al comma 1 dell’art. 14”, con un conseguente, inevitabile incremento del numero degli embrioni conservati in attesa di impianto. Sulla sorte di questi grava ancor più di prima il silenzio della norma. Da qui il paradosso che una disciplina legislativa, fortemente ancorata alla protezione dell’embrione, tace sullo specifico caso in cui un embrione c’è, crioconservato e non impiantato nell’utero della donna che lo ha prodotto, eppure c’è: che fare per non sacrificarne la sopravvivenza?. Ancora la condanna dell’eterologa contraddice la cultura dell’adozione che aveva spostato il baricentro dei rapporti tra genitori e figli dal vincolo di sangue a quello fondato sull’affetto e la responsabilità. La Corte non si nasconde i problemi reali di disciplina, la meritevolezza degli interessi da tutelare, il rischio di sfruttamento delle donatrici di ovociti, dei soggetti deboli, la deriva verso un’eventuale selezione dei nascituri, il problema della tutela del diritto del bambino alla sua identità biologica e di accedere alle relative informazioni; i rischi inerenti alla creazione di rapporti familiari atipici: ma il fatto che esistano dei problemi non giustifica un divieto assoluto. Il legislatore deve aver presenti i problemi e disciplinare la materia in modo da contenere i rischi entro i limiti accettabili.
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Ed ancora le problematiche delle diagnosi pre-impianto. Il divieto di diagnosi pre- impianto non è espressamente contenuto nella Legge, ma solo nelle linee guida che prescrivono di fare solo indagini di tipo “osservazionale”. In tutte le situazioni esaminate, la Corte ha riportato in equilibrio i diritti della donna e del concepito: la tutela della salute della donna che comprende il diritto di essere curata secondo le migliori regole dell’arte vuole che sia il medico e non il legislatore a re-individuare di volta in volta il percorso terapeutico più corretto
A fronte di una così imponente revisione di divieti, norme, etc, ma soprattutto di acquisizioni, di sempre nuove possibilità di interventi sulla riproduzione umana e di variazioni ormai accettate del paradigma naturalistico in un nuovo paradigma dei bio-diritti, il tentativo di riprendere quasi integralmente l’impianto della Legge 40 con il ddl 1630 appare destinato al più clamoroso degli insuccessi.
Dal 2004 al 2015, nel nostro Paese non ci si è arresi di fronte alla necessità di difendersi da situazioni create da una Legge ingiusta, ispirata ad una corrente religiosa antica nella sua essenza, imperturbabile di fronte alle evidenze della sua inadeguatezza così come dalla incapacità del Legislatore ad intercettare ed interpretare la richiesta, che muove dal basso, di un adeguamento al bio-diritto.
A Bologna ad esempio il gruppo di Carlo Flamigni, Eleonora Porcu e Raffaela Fabbri, a fronte del divieto del congelamento embrionario, ha messo a punto una metodica di congelamento lento degli ovociti che Andrea Borini e il suo team biologico hanno ulteriormente perfezionato ottenendo apprezzabili percentuali di gravidanza, con studi sui crio-protettori che hanno avuto ripercussioni ed eco in tutto il mondo. Negli stessi anni il team romano di Genera (F. Ubaldi, L. Rienzi) in collaborazione col gruppo spagnolo di Cobo, Pellicier e Simon, hanno ripreso e reso redditizie la vitrificazione degli ovociti proposta a fine degli anni ’90 da Rawls che ben presto si è imposta per la sua maggior rapidità e semplicità anche nella crioconservazione degli embrioni e tessuti riproduttivi. Ci piace ricordare che se nel periodo 1986-2006 con il congelamento lento erano necessari da 100 a 150 ovociti congelati per ottenere una gravidanza, dal 2007 in poi lo stesso risultato si ottiene con 4-5 ovociti vitrificati.
A Milano il gruppo di coordinamento per gli studi sulle cellule staminali insediato da Umberto Veronesi ha incoraggiato ricerche ed applicazioni cliniche di varia natura tra le quali meritano di essere ricordate le ricerche condotte dal gruppo di Persani all’Università Statale e dal gruppo di Cossu al San Raffaele di Milano. La maggior applicazione delle cellule staminali è quella di sostituire tessuti danneggiati non funzionanti e quindi di essere potenzialmente efficace in un contesto di terapia cellulare/tissutale, sostituendo così il trapianto di organi da cadavere. Ne sono esempi
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la ricostruzione del midollo spinale in soggetti tetraplegici, malattie degenerative del sistema nervoso (Alzheimer, morbo di Parkinson, malattia di Huntington, etc, ricostruzione del tessuto cardiaco dopo infarto acuto del miocardio, riparazione dei vasi sanguigni sede di aterosclerosi, malattie metaboliche, etc).
Recentemente cellule staminali prelevate dalla superficie ovarica o da nicchie di cellule staminali testicolari sono state usate per produrre ovociti e spermatozoi in molte specie animali, che sono anche state prodotte da cellule staminali embrionali e si ritiene che questi esperimenti potranno essere riprodotti nella specie umana, consentendo così il trattamento delle uniche due forme di sterilità incurabili oggi esistenti: l’azoospermia e gli esaurimenti ovarici.
Notevoli studi nell’ambito di fattori genetici di infertilità sono stati eseguiti dal gruppo bolognese di Gianaroli e Magli (Sismer) che hanno puntualizzato che i meccanismi con i quali le aneuploidie possono interferire con la fertilità, rappresentati dall’arresto e la morte dell’embrione prima dell’impianto, dal fallimento dell’impianto, dall’impianto di un prodotto di embrione anomalo, da aborti precoci e tardivi ed infine dalla nascita di un feto affetto da trisomia 21, proponendo sistematici screening pre- impianto.
Il gruppo Genera ha valutato la possibilità di ottenere blastocisti sia con stimolazione nella fase follicolare che in quella luteale (duo- stim) ispirandosi in ciò alle ricerche di Van Wolff sulla stimolazione in seconda fase. Così lo sviluppo fino allo stadio di blastocisti che prima era ritenuto indispensabile solo per la PGT-M e PGT-è stato utilizzato anche per questa indicazione in pazienti poor responders. E, all’alba del nuovo millennio l’attenzione dei ricercatori sembra prevalentemente indirizzata a selezionare le blastocisti più competenti per il transfer, accoppiando alla valutazione morfologica tradizionale l’analisi in birifrangenza della zona pellucida e del fuso meiotico o rimpiazzarla completamente con l’introduzione dei sistemi di time-lapse o con la valutazione dell’attività metabolica, studio di migliaia di metaboliti nel quadro della visitazione degli omics. Il gruppo Genera così come il gruppo Sismer hanno ripreso interessanti studi di N.Macklon che dimostrano che l’endometrio non è un passivo accettore dell’embrione ma ne è un vero selettore, nel senso che è capace di scoraggiare l’impianto di un embrione di scarsa qualità. L’endometrio cioè si comporta come un biosensore che consente le strategie di prevenzione dell’impianto delle blastocisti di scarsa potenzialità, necessario a stabilire la connessione materno- fetale. Importanti ricerche sulla apertura della finestra dell’impianto sono state condotte da Capalbo al Genera di Roma e di Marostica.
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Interessanti studi sono stati condotti dal gruppo Technobios di Borini sulla nuova tendenza del congelamento di tutti gli embrioni per una loro reposizione in un ciclo non manipolato (freeze all). Da notare che è stato dimostrato che questa tecnica offre buoni risultati nelle high responders, ma risultati meno buoni nelle low responders. Dopo la pioneristica presentazione al Congresso di Siracusa (2010) da parte di Degan Wells del sequenziamento di nuova generazione (NGS) che consente con un’unica biopsia di effettuare simultaneamente lo screening delle aneuploidie, la diagnosi di patologie monogeniche, di traslocazioni e anomalie del DNA mitocondriale l’individuazione di mosaicismi, notevoli studi sono stati realizzati dalla maggior parte dei gruppi italiani. In particolare l’attenzione è stata posta alla classificazione delle anomalie genetiche che possono causare infertilità che sono: le anomalie numeriche e strutturali /delezioni, duplicazioni e traslocazioni) dei cromosomi, i difetti monogenici (autosomici dominanti e recessivi, difetti X-Linked) e le anomalie mitocondriali. Sono stati così classificati i processi riproduttivi che possono essere disturbati da anomalie genetiche: determinazione del sesso e sviluppo sessuale, azioni ed interazioni ormonali, follicologenesi, oogenesis ed ovulazione, fertilizzazione, impianto e sviluppo dell’embrione precoce.
Da notare che all’interno dei complessi studi sui rapporti tra genetica e riproduzione si sono inserite ricerche che hanno dimostrato che nel tessuto endometriale ectopico (endometriosi) vi è un numero di geni anormalmente metilati, notevolmente superiore al tessuto eutopico. E di conseguenza gli studi sull’endometriosi sono stati estesi anche alla possibilità di una sua appartenenza genetica ed epigenetica. Analoga problematica riguarda la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), responsabile di più del 75% di sterilità anovulatoria. Recentemente ne è stata osservata un’aggregazione familiare anche se il modello di ereditarietà non è stato ancora definito. Alcuni ricercatori hanno postulato una trasmissione dominante autosomica legata ad un singolo difetto genetico, ma molti autori definiscono la PCOS come una patologia poligenica.
Recentemente sono stati postulati rapporti tra infertilità e disfunzione mitocondriale. Di recente studi sulla popolazione di soggetti con infertilità non caratterizzata geneticamente hanno messo in luce un’associazione tra delezioni del DNA mitocondriale in soggetti di entrambi i sessi e l’infertilità. In base a queste osservazioni, J. Cohen e C. Andersen hanno valutato la possibilità di migliorare la qualità ovocitaria trasferendo mitocondri autologhi prelevati da ovociti denucleati nelle coltura di ovociti scongelati di natura eterologa.
Nell’ambito delle possibilità future di diagnosi e trattamento di pazienti infertili con patologie genetiche, sono stati avviati studi nei quali i pazienti infertili vengono testati per alcune aberrazioni cromosomiche e per alcune mutazioni selezionate. Si pensa
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che in futuro alcuni pannelli di geni selezionati possano diventare uno strumento di routine che consentono l’identificazione di alcune cause di infertilità femminile e quindi migliorare la consulenza genetica riproduttiva e la stratificazione dei pazienti. Inoltre gli approcci epigenetici potrebbero diventare utili nella valutazione dei disturbi dell’infertilità causati da difetti complessi.
A decorrere dal 2002 gruppi italiani: E. Cittadini et all 2002, E. Porcu a Bologna e A.Revelli a Torino si sono occupati con grande impegno di ricerca e di applicazione clinica alle possibilità di preservazione di fertilità nel paziente oncologico. Una delle maggiori preoccupazioni dell’uso delle metodiche di trapianto di corteccia ovarica prelevata in queste pazienti prima di trattamenti oncologici (unica tecnica esistente sino al 2010) è stata p rappresentata dalla possibilità di trapiantare cellule maligne eventualmente incluse nel tessuto prelevato. Per evitare queste possibilità il gruppo belga di J. Donnez e M.M Dolmans ha ideato la criopreservazione di ovociti in un ovaio artificiale, tecnica che comporta la creazione di uno scaffold (sostanza formativa di un organo) di fibrina all’interno del quale vengono posti i follicoli isolati dal tessuto mediante trattamento enzimatico di 75 minuti con Liberase con l’aggiunta di cellule dello stroma ovarico come sostegno ai follicoli e supplemento di alginato e cellule stromali ed endoteliali della midollare.
Sempre in tema di tecniche di preservazione recentemente M. Kano e D. Meirow in base all’osservazione che l’effetto della chemioterapia è devastante per l’azione di burn-out sui follicoli quiescenti e che tale effetto è dovuto al progressivo abbassamento dei livelli dell’ormone antimulleriano (AMH) durante il trattamento chemioterapico, hanno proposto l’iniezione di un AMH ricombinante per via intraperitoneale per ottenere una protezione della riserva ovarica dall’attivazione e perdita follicolare. Nell’esperienza di Meirow in particolare ciò avrebbe portato la percentuale di risultati positivi a livelli notevolmente più alti . Il nostro gruppo ha già attivato un progetto di ricerca condiviso col gruppo israeliano per chiarire la validità di questa tecnica e per sciogliere alcuni interrogativi relativi a quattro punti in particolare: 1) L’AMH iniettato raggiunge sempre l’ovaio? 2) Quanto persiste l’azione dell’AMH dopo la somministrazione? 3) Quale è la dose minima efficace per raggiungere il risultato massimale? 4) La somministrazione di rAMH potrebbe avere in alcuni casi effetti collaterali.
Questi sono soltanto alcuni degli esempi di come e quanto i gruppi italiani abbiano tenuto accese le luci della ricerca e dell’applicazione clinica di fronte all’oscurantismo prospettato nel decennio 2004 – 2014 da un’azione politica raramente ispirata a criteri di opportunità clinica e certamente inadeguata di fronte a risposte così complesse
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Altri problemi che gettano ombre sula PMA sono la richiesta di fecondazione da parte di donne sole, la donazione di embrioni congelati ed il congelamento stesso, la pratica delle madri surrogate, gli studi sugli embrioni e le possibilità che essi aprono all’ingegneria genetica. Soffermiamoci brevemente su questi due punti: l’etica degli studi sugli embrioni è certamente l’argomento più controverso in questo campo ed ha rappresentato l’oggetto della discussione più accesa all’interno dei Comitati Etici dei vari Paesi, del Parlamento Europeo e di varie istituzioni etiche. Le premesse per queste discussioni sono nel riconoscimento dei diritti degli embrioni e nel rispetto della loro integrità. Dunque è importante stabilire cosa si intenda dal punto di vista biologico per vero embrione o quando realmente inizi la vita umana. In Francia un gruppo di cattolici ha recentemente pubblicato un libro (Aux dèbuts de la vie. Des catholiques prennent position, 1990) proprio su questo tema. Gli autori del libro sono uomini di grandissimo prestigio in campo teologico, filosofico e biologico. Secondo questo testo si dovrebbero distinguere, dopo la fecondazione, quattro diversi stadi:
1) Il periodo che va dalla fecondazione allo stadio di otto cellule; in questa fase l’uovo vive totalmente delle riserve materne e il genoma paterno non interviene o interviene pochissimo. Nulla consente dunque di chiamare quest’uovo un embrione.
2) Il periodo in cui si differenziano una superficie esterna, il trofoblasto, e una massa cellulare interna, chiamata bottone embrionario; si forma quindi una cavità interna e il prodotto del concepimento prende li nome di blastocisti. A partire da questo momento la definizione di embrione è eccessiva, ma si può accettare, ma la massa cellulare interna non è ancora un embrione, poiché le sue cellule conservano tutte le caratteristiche delle cellule indifferenziate.
3) Il periodo di preparazione all’impianto, in cui l’uovo perde la sua protezione esterna, la membrana pellucida, formata nell’ovaio; in questo momento l’uovo comincia ad inviare segnali chimici alla madre, modificandone la fisiologia ovarica (prima era semplicemente “in coltura” nei liquidi delle salpingi e dell’utero).
4) Una volta iniziato l‘impianto, si differenziano progressivamente i tessuti primitivi e iniziano a delinearsi le strutture organiche del nuovo essere.
Il quesito finale è: come deve comportarsi il ricercatore di fronte a prodotti del concepimento nei diversi stadi? La risposta è che non ci dovrebbe essere differenza, ai fini di un impiego per la ricerca scientifica, tra i primi due stadi e i gameti umani (ovociti e spermatozoi): quindi, sì all’impiego per la ricerca, se questa è naturalmente effettuata da persone competenti in strutture adatte. Sì anche per la terza fase,
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mentre il quarto periodo non sembra adatto a ricerche di qualche utilità, biologica o clinica.
Nella pratica, le ricerche sugli embrioni umani comporterebbero i seguenti vantaggi: porterebbero ad una maggiore comprensione dei meccanismi dell’embriogenesi umana; lo studio degli effetti di certe sostanze sugli embrioni porterebbe ad una migliore comprensione della teratogenesi, evitando in questo modo certe anomalie; la pratica di mutazioni o di ricostruzioni genetiche consentirebbe la correzione di anomalie ereditarie attraverso l’inserimento nell’uovo del gene normale che supplirebbe la proteina assente.
La possibilità che “con gli embrioni nelle mani” si possa intervenire sul loro corredo genetico ha suscitato reazioni esorcizzanti. La stessa parola “manipolazione” esprime con la sua potenza suggestiva un atteggiamento sottostante intensamente emotivo. E già si profilano a rafforzamento dei quelli morali, divieti e sbarramenti giuridici, ispezioni e controlli nei laboratori. Scarpelli ha scritto che questa reattività richiama la reazione di rigetto che venne opposta nel 1859 alla pubblicazione dell’“Origine della specie” di Darwin. Allora vescovi, moralisti e scienziati conservatori si allearono sopra un perentorio “no” alla nuova visione dell’uomo e della natura. Offendeva soprattutto che, saltata l’idea di una natura stabilmente ordinata in cui ogni cosa ed ogni animale avessero la propria essenza e sempre l’avrebbero conservata l’Uomo apparisse come frutto di una trasformazione e destinato a trasformarsi ulteriormente in futuro. Oggi avendo fatti altri grandi passi scientifici e tecnologici, siamo arrivati a vedere che l’uomo può, o meglio potrà nel futuro, rivedere e correggere con l’ingegneria genetica la propria evoluzione di uomo.
E siamo giunti alle conclusioni. Dai più si ritiene che, parte integrante della libertà di una persona e di una coppia, il desiderio di formare una famiglia costituisce un diritto accessorio dei diritti di espressione fondamentale, posti alla base delle costituzioni democratiche moderne. Una collettività non dovrebbe pertanto neppure porsi il problema del valutare la qualità delle scelte di procreazione dei suoi membri. E’ viceversa più rilevante il problema di stabilire principi saldi e condivisi di bioetica. I principi che nella letteratura vengono riconosciuti come struttura canonica della bioetica sono: il principio di autonomia, il principio di beneficienza ed il principio di giustizia.
Il principio di autonomia comanda di agire in maniera tale da trattare il paziente sempre come fine e cioè in maniera adeguata alla sua natura di soggetto autonomo e mai solo come mezzo, onde l’importanza di chiedergli il consenso informato.
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Il principio di beneficienza comanda di agire in maniera tale che le conseguenza di ogni azione sanitaria risultino a vantaggio del bene del paziente nella sua integrità di persona.
Il principio di giustizia comanda di agire in maniera tale che vantaggi ed oneri provenienti da una certa situazione siano distribuiti equamente.
La valorizzazione passa proprio attraverso l’ampio riconoscimento giuridico e deontologico del consenso informato, investito dalla valenza di diritto che si ripercuote sul sistema dei poteri, dei doveri e delle responsabilità degli operatori coinvolti nelle relazioni di cura e di sperimentazione clinica sull’uomo, comportando la delegittimazione di quel modello paternalistico, a lungo supportato da una deontologia e da un diritto che, con l’accreditare una sorta di autolegittimazione dell’attività medica, in quanto attività realizzata con finalità terapeutica e in conformità con le leggi dell’arte, hanno, congiuntamente, fornito un solido fondamento giustificativo all’attribuzione al solo medico del potere di decidere non solo se e come intervenire, ma anche se e quanto informare il paziente sulle sue condizioni. Il Consenso Informato deve dunque diventare una informazione come processo a due vie.
Se si accetta il principio di rispetto e dell’autonomia procreativa ne conseguono alcune cose: anzi tutto, che la scelta dell’individuo deve essere rispettata anche se non è la migliore, ma questa parola “migliore” è soggettiva; in secondo luogo, che gli interventi della società su questi problemi debbono essere limitati e leggeri, e perciò rispettosi dell’autonomia personale; ed infine –e questo è naturalmente negativo- che la pretesa di scelte autonome non può essere assoluta e che debbono contare, anche in questi casi, vincoli precisi. Credo che in proposito sia opportuno cercare di leggere tutte queste cose su una falsariga comune che si può indicare nell’interesse del bambino. Dopo di che, si potrà discutere sul fatto che questo interesse debba essere assoluto, se non ci siano altri interessi da prendere in esame e da considerare: ma avremo messo al centro della nostra attenzione, comunque, l’interesse del bambino, senza fare differenze per il fatto che la procreazione abbia avuto come teatro un letto matrimoniale o l’ambulatorio medico.
La seconda conclusione possibile riguarda il fatto che il diritto non può avere il compito di sostenere e difendere una confessione religiosa o una concezione morale specifica, e che in un Paese laico come il nostro, si dovrebbe tener conto della complessità delle posizioni morali presenti, trovando possibile un terreno comune per costruire norme accettate da tutti. E’ questo il ragionamento di Engelhardt “sull’isola
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per gli stranieri morali” caro a Carlo Flamigni e che può essere riassunto così: “possiamo trovare accordi per i problemi per i quali apparentemente un accordo vero non esiste, se nell’isola per gli stranieri morali andiamo lasciando sulla terraferma i nostri dogmi”. Questa scelta abbassa certamente il livello della discussione etica, ma crea la possibilità di trovare accordi che hanno valore e dignità per il fatto di essere utili socialmente.
Ricorda Flamigni che l’Europa e il mondo sono diventati villaggi scientifici molto piccoli, nei quali è facile muoversi per trovar tutto quello che in casa propria non è ottenibile.
Infine, io credo che dobbiamo respingere con tutte le forze della ragione la tendenza a creare la cultura di “paura del futuro, la teoria del pendio scivoloso” che comporterebbe automaticamente la tendenza a contrastare il progredire della scienza. Credo ancora che noi tutti dobbiamo imparare a parlare con moderazione delle possibilità future, senza lasciarci trasportare da entusiasmi eccessivi o influenzare da cupe minacce, mantenendo una equità di giudizio nella discussione di ciò che è nuovo e ricordando con Kuhn che:” Ogni rivoluzione scientifica altera la prospettiva storica della comunità che ne fa esperienza”.
Vi è oggi attorno a queste tecniche un fervore di studi inimmaginabile, peraltro sempre rispettoso – con poche eccezioni che hanno rappresentato l’occasione per una condanna globale del sistema- delle regole deontologiche ed etiche che sono la base delle professioni sanitarie.
Purtroppo ad oggi, ad ogni sforzo conciliativo fra conquista della Scienza e il rispetto di questa regola, il Magistero della Chiesa ha fatto prevalere con una forzatura difficilmente comprensibile una questione di principio: la fissazione della frontiera più rigorosa all’intangibilità della vita umana sulla evidenza delle assurdità e delle cattiverie della Legge, opponendo troppo spesso i veri e supposti diritti dell’embrione ai diritti degli ammalati (Sofri). E da queste posizioni è nato il cosiddetto turismo dei diritti che è figlio della mancanza di equità e di giustizia.
Oggi, Uberto Scarpelli lo ha ricordato per anni, Il cambiamento scientifico, tecnologico e culturale genera problemi etici nuovi, di fronte ai quali l’etica cattolica, basata su antichi testi prodotti in circostanze storiche radicalmente diverse, su dottrine cresciute e ossificate in tempi lunghissimi e soprattutto sull’autorità sacerdotale, appare gravemente inadeguata. Tocca all’etica laica favorire in generale un rinnovamento e l’adattamento delle risposte morali e giuridiche a circostanze nuove, per esempio, nella fase attuale, difendere contro il valore della vita ad ogni costo, il valore della dignità della vita, battersi per la contraccezione come rimedio preventivo
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all’aborto, sostenere l’eguaglianza tra i sessi, fondare le istituzioni familiari sull’amore piuttosto che sulle regole giuridiche, restituire il senso dello Stato come comunità democratica non soggetta a nessuna potestà direttiva esterna, tendere alle grandi unità politiche europee e mondiali nella convinzione che l’umanità condivisa è molto più importante delle diversità del concetto di Dio, tutelare su ogni terreno la libertà dell’individuo e la sua facoltà di scelta del proprio personale destino.

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